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Interviste | Angelica Ferrari

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Angelica Ferrari_Le Mie Persone

Angelica Ferrari | Dall’editoria all’high tech. Vulcanica e multipotenziale. È rock in ogni cosa che fa.

Angelica, sul tuo profilo LinkedIn leggo che durante i tuoi studi di Marketing alla Bicocca (Milano) hai fatto l’Erasmus in Polonia. Polonia??? Che tipo di esperienza è stata?
È stata una scoperta. Sono volata a Breslavia (o Wroclaw, in polacco) per 6 mesi ed ho solo stupendi ricordi di quell’Erasmus. Prima della partenza ho contattato gli studenti degli anni precedenti che avevano scelto questa meta, per indagare un po’ sulla città e anche sulla Polonia in quanto non avevo idea su quello che mi potessi aspettare. Tutti mi dicevano la stessa cosa: “Ti piacerà un sacco”: ed avevano ragione. Una città perfetta per uno studente: non troppo grossa, efficiente con i mezzi di trasporto e una cosa molto importante, economica, per poter avere un buon stile di vita. Poi i legami che si sono formati in quel periodo (e fortunatamente ce li ho ancora) con persone di varie nazionalità e culture non hanno prezzo. Mi hanno aiutata ad capire come approcciarsi alle diverse mentalità.
Infine uscire di casa o dalla famosa “comfort zone” è un’esperienza che va assolutamente fatta per una crescita personale, affrontare problemi senza “mamma e papà” ti cambia proprio!
La Polonia è molto sottovalutata, ma alla fine come servizi e opportunità di lavoro è molto avanti.
La consiglio a tutti come meta per un possibile Erasmus, ma anche da visitare come turista soprattutto le città più importanti. Vi sorprenderà.

Ora lavori al marketing in un’azienda high tech di Pavia, età media 27 anni. Hai meno di 30 anni e sei una delle più anziane. Cosa significa lavorare in un’azienda con così tanti giovani? Quali sono i pro e i contro?
Lavorare in un’azienda circondata da colleghi e manager giovani non fa che ispirarti e stimolarti. Si vive la curiosità, la voglia di sperimentare e di portare nuove idee. Soprattutto vedere manager che hanno appena 30 anni è motivante per poter dare sempre il meglio e pensare ad una crescita professionale anche nel breve periodo.
D’altra parte essendo tutti giovani c’è l’inesperienza e in alcuni casi essendo il primo o l’unico ambiente lavorativo non si ha il confronto con altre realtà. Quindi ci possono essere difficoltà nell’affrontare sfide mai viste, con una visione limitata della risoluzione del problema.

Dopo una laurea a pieni voti in Marketing di solito si cerca di entrare in una multinazionale dal brand molto noto, che ne so, del lusso o del largo consumo. Cosa ti ha portato a scegliere una realtà tecnologica di piccole dimensioni e dal brand sconosciuto al grande pubblico?
La fiducia verso il candidato con prospettive di crescita e la vera necessità della risorsa all’interno dell’azienda. Ammetto che da studentessa ero molto ambiziosa e anche io volevo entrare in una multinazionale. Infatti la prima esperienza dopo la laurea è stata in un’azienda di un’importante holding italiana. Quello che mi ha fatto cambiare idea sono stati i numerosi colloqui che ho sostenuto in varie multinazionali, successivamente a quell’esperienza. L’offerta era sempre la stessa: 6 mesi di stage, se piaci ti rinnovano per altri sei mesi, e se vai bene ancora ti assumono con l’ apprendistato. Il che poteva anche andare.
Invece nelle piccole ho notato una formula più concreta 6 mesi e poi contratto di somministrazione/ indeterminato.
In quanto c’era davvero la necessità di avere una risorsa e formarla e averla con sé. A volte le piccole realtà sconosciute danno più importanza alle persone. Il mio professore di Global Marketing Management alla magistrale diceva delle aziende: “Grande è bello, ma Piccolo è meglio”. Aveva ragionissima.

Ti piace la musica Rock. Ci racconti un episodio della tua vita lavorativa dove sei stata Rock?
Lo stile rock influenza molto la mia indole lavorativa, quindi lo sono un po’ tutti i giorni. Ma il momento migliore in cui sono stata molto rock è durante eventi di recruiting nelle università. In quel caso bisogna andare oltre alla semplice conversazione con lo studente. Infatti a me capita sempre di ridere e scherzare con gli studenti, parlare e indagare sulle loro ambizioni, dare consigli, prima di parlare della mia azienda. Tutto però con un atteggiamento vulcanico e vivace. Alla fine bisogna essere se stessi, coerenti con quello che si dice e crederci davvero perché in realtà i ragazzi hanno bisogno si sentire e vedere anche questo. Inoltre durante eventi di questo genere bisogna farsi notare ed avere un atteggiamento coinvolgente; è un bel modo per differenziarsi. È ed stato così. Quindi si può dire che essere rock anche nel lavoro è un’arma potentissima, e funziona!

Quando ci siamo sentiti telefonicamente hai usato spesso due verbi: Rischiare e Sperimentare. Che rapporto hai con il Rischio? Come superi la paura di affrontare l’ignoto?
In ogni scelta che ho fatto finora, alla base c’era un po’ di rischio e voglia di sperimentare. Rischiare e Sperimentare sono un binomio. Uno la conseguenza dell’altro e viceversa. Io ho rinunciato ad un’offerta lavorativa all’estero accettando una proposta in Italia, nonostante lavorare all’estero era la mia idea dopo aver preso la laurea. Insomma sono andata un po’ controcorrente: ho rischiato, ho sperimentato e non è andata a finire bene, ma mi ha portato dove sono adesso. A volte bisogna avere il coraggio di rischiare perchè se si ha una grande volontà si può affrontare tutto, anche l’ignoto. Però ci vuole anche un pizzico di passione in quello che si fa. Magari all’inizio non ci si sente in grado di riuscire ad affrontare una situazione che non si conosce ma se la voglia di fare è più forte, tutto diventa più facile da risolvere.

Qual è stato il tuo più grande fallimento e cosa hai imparato?
Per me è stato quando ero in corsa all’ultimo step di colloquio in 3 multinazionali e nessuno delle 3 mi ha dato un feedback positivo. Lì mi sono sentita a terra, ho pensato: “Tutto quello che ho fatto fino ad oggi, 5 anni di università, una laurea a pieni voti, un Erasmus all’estero, un lavoro extra per 6 anni per pagarmi gli studi e non sono abbastanza?” Mi sono sentita davvero meno rispetto ad altri candidati che avevano fatto esperienze in Cina, America, India che purtroppo io non potevo fare perché non potevo permettermelo. Lì pensavo: “Ho fallito”. 5 anni di studi e non ho concluso quello che volevo. Non mi sentivo abbastanza.
Ma poi ho capito. Per chi non sono abbastanza? Per me o per gli altri? Andare a lavorare nella grande azienda famosa a chi avrebbe fatto piacere? A me ovviamente, ma avrei fatto un’ottima figura con i miei amici ma soprattutto con la mia famiglia. Dovevo per forza renderli orgogliosi. Poi ho realizzato che devo lavorare per me, devo crescere per me ovunque io sia, grande o piccola l’azienda, devo sempre pensare a migliorarmi. Ma non è il nome dell’azienda che ti fa crescere ma sono le persone dentro l’azienda. E questo l’ho capito da quando lavoro nella mia attuale azienda.

Quali consigli vuoi dare ai giovani italiani che stanno per iniziare la loro avventura lavorativa?
Avevo letto un’articolo di Roberta Bazzo, CFO di Peroni, in cui diceva “La laurea ti dà un metodo che utilizzerai, ma poi ci vuole la volontà di mettersi in gioco. Se non si trova lavoro, bisogna rimboccarsi le maniche, essere flessibili e avere iniziativa, anche se non è necessariamente nel campo dove che si è studiato”. Ecco la penso nello stesso modo. Abbiate iniziativa, rimboccatevi le maniche e abbiate la voglia di sperimentare, senza però perdere l’entusiamo, perché è quello che vi aiuterà ad affrontare le situazioni.

Qual è il profilo del tuo capo ideale? Cosa dovrebbe fare per te e la tua crescita?
Il profilo del mio capo ideale lo riassumerei con la metafora del genitore quando deve renderti indipendente. All’inizio ti sostiene per aiutarti a muovere i primi passi. Una volta imparato poi ti fa camminare da solo sempre guardandoti le spalle affinché tu non ti faccia male. Poi arriva il momento di andare in bicicletta, che è un po più pericoloso. È uno step in più ma è necessario per poter poi andare in giro da solo ed essere indipendente. Successivamente ultimo step, investe su di te; ti paga la patente; ti fa usare la sua auto; poi ti fa guidare andando ovunque ma devi mandare un messaggio per tranquillizzarlo e dirgli dove sei. Riassumendo un capo che ti guarda sempre le spalle che ha voglia di farti crescere e renderti migliore.

Quali suggerimenti ti senti di dare ai manager che hanno la responsabilità di assumere e formare giovani laureati?
Per prima cosa comunicate con i vostri collaboratori. La comunicazione è fondamentale soprattutto all’inizio per far vedere il proprio lato umano. Dopodiché create il feeling con la persona, affinché si senta parte di una squadra per rendere la risorsa più proattività. Si sa che le vere competenze si imparano sul campo e avere un ambiente sereno e aperto non fa che accelerare la parte di “training”. Infine, avere un rapporto di fiducia è un must ma bisogna essere pronti a possibili errori, che saranno inevitabili per un giovane laureato, ma sarà solo in quel momento che bisogna essere bravi a formarli.