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Interviste | Cristian Capasso

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Cristian Capasso

Cristian Capasso | Napoli, Helsinki, Milano. Dal laboratorio a un ruolo sul campo. Le sue keyword: scienza, carriera, amore.

Cristian rispetto a molti dei tuoi colleghi ‘cervelli in fuga’ tu hai fatto un percorso a ritroso: laurea in biotecnologie a Napoli, primi lavori in Finlandia e poi ritorno in Italia a Milano. Raccontaci questo tuo viaggio e le motivazioni dei vari passaggi.
I momenti fondamentali nella mia vita sono stati due: decidere di lasciare l’Italia (2013) e decidere di tornarci (2018).
Avevo il sogno di fare il professore e sapevo che per realizzarlo avrei dovuto dimostrare di essere una persona intraprendente ed indipendente. Quale modo migliore se non fare un salto nel vuoto ed andare a fare ricerca fuori dall’Italia? Volevo vedere come funzionasse “la ricerca” all’estero.
A questo si aggiungeva la consapevolezza che le condizioni di lavoro per i ricercatori italiani sono difficili, facendo spesso fatica anche a racimolare borse di studio misere (poco più di 1000€ al mese per un dottorando). Io in Finlandia ho trovato un vero contratto di lavoro (con contributi e tutele) ed uno stipendio almeno doppio a quello che avrei avuto in Italia. Volevo sentirmi parte di un sistema che mi vedesse come un valore aggiunto e non come un peso.

Poi durante il mio percorso è cambiato qualcosa.

Ho iniziato a capire che fare il professore/ricercatore richiedeva anni di incertezze e sacrifici, anche all’estero. Dopo aver conseguito il titolo di dottorato, avevo voglia di nuovi stimoli personali e di sviluppare nuove competenze. A questo si aggiunge un “piccolo” particolare: la mia ragazza viveva a Milano. Eravamo riusciti a resistere in una relazione a distanza per cinque anni. Dopo aver messo la carriera al primo posto andandomene dall’Italia, volevo provare a conciliare lavoro e vita privata. Ho capito che quello era il momento migliore per cambiare rotta e cercare fortuna in Italia al di fuori dell’Accademia.

Inutile dire che ogni volta che le persone sentono che son ritornato in Italia mi chiedono “ma perché? Si sta tanto bene in Finlandia!”. Domanda che credo mi perseguiterà a vita 😊

Da ricercatore universitario in laboratorio ad una vita sul campo. Cosa ti ha spinto ad entrare nel mondo delle aziende farmaceutiche?
Rispondendo alla domanda: non sono mai stato un topo da laboratorio. Ho sempre amato presentare i miei progetti ai congressi, fare lezione agli studenti, coltivare nuovi hobbies (chitarra, disegno e fotografia) ed ho mio canale Youtube. A questo si aggiunge la voglia di interagire con il prossimo. Quando ho deciso di entrare nel mondo del farmaceutico ho capito che il mio posto era a contatto con le persone, sul campo parlando di scienza ed imparando al tempo stesso dai miei interlocutori.
Nel mio attuale ruolo posso soddisfare il mio lato scientifico poiché rappresento il punto di contatto tra i principali esperti scientifici e l’azienda. Lavoro in sinergia con gli informatori scientifici del farmaco sul territorio per assicurare che i medici abbiano a propria disposizione le informazioni più aggiornate sui farmaci e sulla malattia.
Da ricercatore aiutavo il paziente ricercando nuove cure; adesso posso aiutare i medici nelle loro decisioni di tutti i giorni.

Quali sono i pro e i contro del tuo ruolo sul campo?
Questi dipendono molto dalla propria personalità.

Per me i PRO sono:

  • Dinamicità del lavoro (non mi annoio mai!)
  • Sono sempre a contatto con altre persone
  • Imparo sempre qualcosa dagli altri
  • Sei responsabile del tuo successo
  • La scienza è al centro delle mie discussioni con i medici esperti e posso aiutarli nella loro attività giornaliera

Tra i contro metterei

  • E’ molto difficile stabilire relazioni di valore con gli interlocutori e costruire un rapporto di partnership.
  • Bisogna costantemente mettersi nei panni dell’altra persona per capirne la psicologia. Il proprio ego va costantemente ridimensionato.
  • Si macinano chilometri per incontrare una persona 10 minuti (sempre che ti riceva!).
  • L’ansia di raggiungere gli obiettivi alla velocità della luce (i ritmi aziendali sono molto più veloci di quelli accademici!), rischiando di perdere di vista la visione a lungo termine.

Raccontaci un episodio divertente che ti è capitato.
Una volta una persona dopo aver segnato sulla sua agenda il nome di un nostro prodotto si ferma, ci pensa un attimo e poi esclama “certo che è proprio un nome di m***a!”.
Mi sono quasi sentito in difetto ed in imbarazzo. Quindi gli ho chiesto “ma come non le piace il nome?”. Lui ha risposto “no, è difficile da pronunciare”. Al che ho pensato che fosse meglio lasciare da parte l’orgoglio e prenderla con filosofia, quindi gli ho risposto “guardi io sarò di parte, ma a me piace perché ricorda il nome di mia mamma”.
Avrei potuto reagire diversamente, rispondendo a tono. Ma ho deciso di prenderla con filosofia. Adesso se ci penso mi viene da ridere pensando “certa gente è proprio senza filtro!”.

Qual è stato il tuo più grande fallimento e cosa ti ha insegnato?
Il primo anno e mezzo di dottorato in Finlandia ero un disastro. Il mio capo fu molto paziente e mi diede una serie di compiti da portare a termine per dimostrare quanto davvero tenessi ad essere parte del team ed a seguire un determinato progetto.
Quel mese feci anche più di quanto richiesto. Arrivò il giorno del meeting in cui avrei dovuto presentare tutti i risultati ma purtroppo avevo sottovalutato il come presentare il tutto; a dire il vero non avevo preparato nessuna presentazione. Inutile dire che mi beccai una bella lavata di testa davanti tutto il team. Il mio capo mi disse che da quel momento in poi le scuse non facevano più parte del mio vocabolario, “Cris from now on there are no excuses, never”
Quell’episodio mi ha cambiato per sempre. Mi ha insegnato che bisogna curare i dettagli, come si manda un messaggio può essere anche più importante del messaggio stesso. Iniziai un percorso per cancellare la superficialità che mi portavo dentro e iniziai a voler essere sempre la versione migliore di me stesso, senza più contare sul fatto che “c’è sempre una scusa”.

Quali caratteristiche personali ti hanno aiutato ad arrivare dove sei adesso?
Curiosità. Credo fortemente che tutto ciò che sai fare può tornare utile in ambito lavorativo. Per questo mi piace imparare cose che non hanno nulla a che fare con il mio lavoro. Una volta ho aiutato l’Università di Helsinki a creare un cortometraggio che ispirasse le persone ad avvicinarsi al mondo della scienza. Quest’anno con l’azienda per cui lavoro abbiam creato un video in stile Vlog/Youtube per presentare al CEO un progetto che la filiale italiana aveva portato avanti. In entrambi i casi, ho potuto fare network, aiutare colleghi e divertirmi.
Un’altra caratteristica che mi aiuta è la capacità di pensare a lungo termine. Questa è stata essenziale per aiutarmi a fare scelte difficili. Avrei potuto cercare un dottorato a Napoli e vivere con i miei, invece sono andato in Finlandia da solo (5 lunghi anni senza pizza, famiglia e fidanzata). Sarei potuto restare in Finlandia e fare il ricercatore scegliendo la carriera accademica come via più “facile”, invece ho cambiato tutto tornando in Italia (molti mi chiedono ancora il perché!) e cercando di entrare nel settore privato con zero esperienza.
Ora che ci penso, questa potrebbe essere stata anche incoscienza! Eppure, se non fosse stato per queste “scelte difficili” non sarei qui a fare un lavoro che mi appassiona finalmente a fianco della donna che amo.

Se potessi tornare indietro, alla luce delle tue prime esperienze lavorative, rifaresti lo stesso percorso di studi?
Cento Volte. Tutto parte dall’amare ciò che si fa ed essere coerenti con la visione che si ha di se stessi. Molti vedono gli anni di studio in accademia e specializzazione come una penalità. Niente di più sbagliato. Se non fosse per il mio percorso di studi non avrei imparato tante cose che mi sono utilissime nel lavoro che faccio oggi.

Quali consigli vuoi dare ai giovani italiani che stanno per laurearsi?
Imparate ad analizzare i vostri punti di forza e debolezza e, soprattutto, imparate a raccontarli. Questo vi aiuterà nelle interviste di lavoro che farete. Per me ha funzionato così.
Esempio: chi ha fatto ricerca ha imparato a fare project management, budget management, risk assessment ha scritto proposte di progetti, ha vinto fondi, ha “venduto” la propria visione del futuro sviluppando soluzioni a problemi precisi, ha aiutato ad organizzare eventi, ha formato colleghi e studenti. Insomma tutte qualità che in azienda valgono molto. Eppure, sono gli stessi ricercatori a non sapersi raccontare, non mettendo in risalto queste capacità spesso.

Quali suggerimenti ti senti di dare ai manager che hanno la responsabilità di assumere giovani laureati?
Guardate un po’ di più oltre il curriculum e valutate le persone per come sono e per l’entusiasmo che hanno.
E’ così che io sono arrivato a lavorare in azienda dall’accademia.
Dopo che sono stato assunto ho chiesto alla recruiter per curiosità “cosa vi ha spinti a darmi questa possibilità se non ho nessuna esperienza nel ruolo?”. Lei mi ha detto “Oltre la motivazione e l’entusiasmo, avevi la forma mentis giusta per questo lavoro; a quel punto il fatto che non fossi stato mai sul campo è passato in secondo luogo, sapevamo che avresti potuto imparare presto”.
Se poi ho imparato? Non so, dovresti chiederlo al mio manager 😊