

Sabrina Ciofalo | Voleva fare lo sciamano. C’è riuscita: lavora in HR. Seleziona talenti. Sa ingannare la macchina della verità.
Sabrina, sei una HR Business Partner. Spiegaci in cosa consiste questo ruolo.
L’HR Business Partner è una figura del dipartimento Risorse Umane che rappresenta il punto di riferimento di supporto al business, di cui deve conoscerne le logiche e a cui è richiesto di indirizzare il Management nelle scelte aziendali. Quindi ad esempio gestisce i colloqui, redige i contratti di assunzioni, si occupa del controllo delle presenze dei lavoratori in azienda, si occupa di monitorare i costi del personale, di preparare la reportistica sul personale, di capire quali sono i fabbisogni formativi dei dipendenti e come aiutarli nel loro sviluppo, di garantire che il processo di valutazione delle prestazioni sia correttamente svolto e ahimè a volte è chiamato a ridurre il personale tramite licenziamento.
Quanti colloqui fai in un anno?
Ovviamente dipende dalle necessità aziendali di assunzione stabilite ogni anno a budget. Nella mia esperienza mediamente posso dire di aver gestito tra i 40 e i 50 processi di selezione all’anno.
I tuoi intervistati: come si distribuiscono in percentuale tra uomini e donne e nelle varie fasce d’età?
Beh la distribuzione degli intervistati dipende dal business di riferimento. Nel mio caso avendo esperienza nel mondo Education e Advertising, direi un 60 per cento donne e un 40 per cento uomini. Spesso ho fatto colloqui a candidati nella fascia d’età 25-35 e per ruoli più Senior tra i 45-60 anni.
Sulla base della tua esperienza, quali sono i profili professionali oggi più richiesti dal mercato?
Posso dire con assoluta certezza che il maggiore mercato lo detengono i profili tecnici, come gli ingegneri, oppure chi ha competenze nelle nuove tecnologie e nel web. Nella mia esperienza di settore, i ruoli creativi più richiesti sono i Designer, Copywriter, Art Director.
Sei partita studiando lingue, poi un master in HR. Cosa é scattato in te che ti ha fatto cambiare rotta?
Sia le lingue straniere sia l’HR hanno in comune il mio amore per lo studio e la conoscenza e il mio essere estroversa e molto attenta alle relazioni interpersonali. Fin da studentessa ho sempre desiderato diventare interprete di conferenza al Parlamento europeo. Ho studiato inglese e tedesco e durante l’estate ho avuto la fortuna di poter trascorrere alcuni soggiorni studio all’estero. Il cambio di rotta arriva al terzo anno della triennale. In particolare, ci sono stati due episodi che hanno contribuito significativamente nella nuova direzione: un corso di orientamento professionale, dove alcuni interlocutori aziendali aiutavano i laureandi a prendere consapevolezza delle proprie competenze e attitudini e l’incontro con un Direttore HR di una grande azienda italiana. Lui mi ha permesso di affiancarlo nel suo lavoro a titolo gratuito per capire sul campo cosa significasse lavorare nelle risorse umane. Da lì ho capito che l’HR sarebbe stata la mia strada.
Consiglio pratico 1 – Il CV si usa ancora sì o no? E il curriculum europeo?
Il CV si usa ancora. Io personalmente non amo il curriculum europeo, perché ha un formato molto rigido e non consente una personalizzazione del profilo di un candidato.
Consiglio pratico 2 – CV in italiano o in inglese?
La lingua del CV segue di pari passo la lingua utilizzata nell’annuncio di lavoro.
Consiglio pratico 3 – Quante pagine deve essere lungo il CV di chi ha meno di 10 anni di esperienza?
Il CV deve essere il più efficace possibile, quindi per un livello di seniority di questo tipo suggerirei una pagina. Nel CV di un giovane neolaureato sono molto importanti le esperienze formative, da inserire dalla più recente andando a ritroso, le conoscenze linguistiche ed eventuali esperienze extra scolastiche.
Consiglio pratico 4 – Foto nel CV: sì o no? Se sì, come deve essere la foto?
In questo caso non esiste una regola. Sicuramente consiglierei ai neolaureati o ai giovanissimi professionisti di inserirla, rigorosamente in formato fototessera, su sfondo bianco. Questo perché il selezionatore possa farsi già un’idea del candidato anche visivamente, e di come possa presentarsi. A un professionista più esperienziato consiglierei invece di non inserirla, in quanto il focus deve essere sul suo percorso lavorativo.
Consiglio pratico 5 – Lettera di presentazione: sì o no?
La lettera di presentazione viene spesso sottovalutata lato candidato, mentre a mio avviso è un elemento prezioso perché mette in risalto particolari conoscenze che facilitano il primo colloquio. Una buona lettera di presentazione deve essere scritta spiegando perché siete adatti al ruolo per cui vi candidate, e suggerisco di utilizzare alcuni termini che trovate nello stesso annuncio e di riprendere i requisiti richiesti. In questo modo vi farete notare dal recruiter: dato che possono arrivare centinaia di CV per uno stesso ruolo, per un giovane con poca esperienza quello che fa la differenza è la proattività. La lettera deve esprimere il concetto di “scegli me perché ti posso portare questo vantaggio”. Se possibile tramite LinkedIn scoprite chi è il recruiter di riferimento, in modo da personalizzare l’intestazione della lettera. Non utilizzate lettere standard scaricate da Internet se non per prenderne spunto, ma cercate di renderla “parlante”: personalizzatela e provate a raccontare per esempio di un progetto universitario che sia coerente con i requisiti che richiede il ruolo per cui vi state candidando.
Consiglio pratico 6 – Alla fine del colloquio, si può fare la fatidica domanda “Come sono andato?”
Lo sconsiglio vivamente. Il feedback sul colloquio si riceve dal recruiter e non va mai sollecitato durante l’intervista. Se volete farvi notare, mandate un’e-mail di ringraziamento al recruiter il giorno successivo al colloquio che avrà più facilità a ricordarsi positivamente di voi.
Per trovare lavoro serve collegarsi su LinkedIn a un numero elevato di recruiter o no?
LinkedIn a mio avviso è lo strumento per eccellenza nella ricerca di lavoro. E consiglio a chiunque sia in cerca di lavoro di abbonarsi a LinkedIn Premium, che consente di contattare persone che sono esterne alla propria rete e di dare risalto alla propria candidatura quando si invia il CV tramite annuncio di lavoro. Sicuramente avere tra i propri collegamenti diversi recruiter può facilitare la ricerca di un’occupazione, ma solo se si stabilisce un contatto diretto tramite un messaggio.
Se una persona a te sconosciuta vedendo che lavori nell’HR ti invia il suo cv come autocandidatura tu cosa fai?
La prima cosa che faccio è analizzare il suo profilo unitamente al messaggio che mi invia, per capire se il suo profilo può essere in linea con le ricerche attive in azienda. Generalmente entro 48 ore rispondo al candidato, ringraziandolo per avermi scritto, e gli restituisco un feedback. Se il suo profilo risulta allineato, organizzo un primo appuntamento telefonico per approfondire. Se allineato per esigenze future, rispondo informandolo che potrebbero aprirsi nuove posizioni. Se non allineato, provo a fornirgli alcuni suggerimenti su quali realtà aziendali potrebbero essere a lui/lei maggiormente interessate.
Toglimi una curiosità. Che corsi vengono fatti a chi lavora nell’HR? Si narra che studiate cose del tipo: come mettere in soggezione le persone, come mentire alla macchina della verità senza farsi scoprire, come leggere nel pensiero. È vero?
Grazie per questa domanda che mi consente di sfatare il mito che l’HR abbia poteri magici al pari di uno sciamano o sia uno psicologo capace di leggere qualsiasi comportamento del candidato durante un colloquio. Io stessa quando ero studentessa credevo che l’HR ascoltasse i dipendenti e li aiutasse a risolvere i loro problemi con i colleghi o con il proprio capo. Da alcuni anni esiste la facoltà universitaria di Organizzazione delle Risorse Umane, ma prima della sua introduzione, i percorsi formativi erano diversi: scienze dell’amministrazione, economia e commercio, lettere, ingegneria. E molti professionisti poi decidono di specializzarsi con un master, che consiglio di frequentare quando si ha acquisito almeno un paio di anni di esperienza. In questo modo si riescono ad ampliare e consolidare competenze già sperimentate sul campo.
Social media. Quando decidi se chiamare un candidato valuti anche come si presenta sui social? Se sì, quali social vai a vedere?
I social ti consentono di raccogliere una moltitudine di informazioni in poco tempo e sono un utile strumento di supporto al recruiter per avere una prima idea del candidato. Personalmente controllo prima se ha un profilo LinkedIn e quanto sia completo; cerco solo in un secondo momento il suo profilo Facebook per verificare se ci possono essere criticità, come ad esempio dei post e/o commenti offensivi.
Quali sono le tre domande che un giovane candidato si deve aspettare a un colloquio e per le quali si deve assolutamente preparare una risposta?
Come mai si è candidato presso la nostra realtà, qual è la sua motivazione rispetto al ruolo proposto, e perché a parità di altri candidati giovani è lui/lei la persona più adatta al ruolo.
Quali domande dovrebbe fare un giovane candidato per fare bella figura a un colloquio?
Non esistono domande standard da “manuale delle giovani marmotte”, ma nascono nella fase di preparazione al colloquio: consiglio vivamente di visitare tutte le sezioni del sito aziendale e delle pagine social aziendali, di cercare tra le occorrenze di Google il nome dell’azienda e leggere le notizie più recenti. Da qui nascono naturalmente domande. Io suggerirei di chiedere quali sono le competenze più importanti che ricerca l’azienda per il ruolo proposto, come è strutturato il team di lavoro, e soprattutto alla fine del colloquio chiedere quali sono le modalità e le tempistiche di selezione. Questo è un momento importante nell’intervista, perché più il recruiter è specifico e fornisce informazioni temporali in merito, più questo è sinonimo di feedback positivo. E soprattutto dimostra interesse e motivazione da parte del candidato.
Quali comportamenti o risposte ti fanno scartare subito un candidato che si presenta a un colloquio?
Arrivare in ritardo senza avvisare tempestivamente, perché rappresenta una mancanza di interesse ed educazione. Arrivare accompagnato da amici o parenti, perché denota scarsa autonomia e indipendenza. Presentarsi con un abbigliamento non adeguato. Fare domande sulla retribuzione, su eventuali benefit (pc, tel) e sul carico di lavoro al primo colloquio conoscitivo. Queste domande danno l’impressione di essere interessati agli aspetti pratici, senza una reale motivazione al ruolo e all’azienda.
Cosa consigli a un giovane per trovare lavoro in Italia? Da dove partire?
Il primo step è creare un CV in italiano e uno in lingua inglese da avere sempre a disposizione – e lo preparerei sia in formato Word sia in formato PDF. Gli ATS, Application Tracking System, cioè i software utilizzati per la selezione spesso supportano meglio il formato Word se non espressamente dichiarato un altro formato. Il rischio è di caricare un CV che al recruiter risulta completamente bianco e quindi si viene scartati. Il secondo passaggio potrebbe essere creare un profilo LinkedIn indicando nel sommario qual è il ruolo ricercato, le esperienze formative, le precedenti esperienze di stage curriculari ed extra curriculari, il proprio domicilio, il contatto e-mail e numero di telefono, in modo da essere più accessibili per i recruiter, e caricate il file del CV all’interno del profilo. Una volta pronti questi strumenti, potete cominciare a inviare candidature su LinkedIn, o altri portali quali Indeed, Glassdoor, Monster e Infojobs. Per chi ha da 0 a 5 anni di esperienza professionale segnalo Meritocracy, una piattaforma dedicata proprio a questo target. Anche utilizzare la bacheca virtuale del proprio ateneo può rivelarsi molto utile. Un altro elemento prezioso è lo stage curriculare che consente di entrare nel mondo del lavoro durante gli studi. Quello che consiglio in assoluto è di crearsi anche delle relazioni professionali da coltivarsi nel tempo: per esempio professori, professionisti legati ad attività sportive, così come gli stessi colleghi di università. Nella mia esperienza bisognerebbe iniziare già da studenti. Queste figure possono essere preziose come mentor, offrendo supporto e orientamento e/o segnalandovi alcune opportunità professionali. Inoltre, possono dimostrarsi disponibili a offrire referenze e/o segnalazioni su LinkedIn. La reputazione di un candidato inizia proprio da studente!
Suggerirei anche di partecipare a corsi di orientamento organizzati da agenzie per il lavoro, che forniscono strumenti gratuiti e anche corsi di formazione (Excel, software grafici, lingua inglese etc.) specifici per inoccupati e/o disoccupati. Infine, anche aver svolto un periodo all’estero durante gli studi o subito dopo la laurea è giudicato molto positivamente dalle aziende.
Quali suggerimenti ti senti di dare ai manager di linea che hanno la responsabilità di assumere e formare giovani laureati?
Il manager è fondamentale nello sviluppo di una risorsa, ancora di più se junior. Io stessa ho avuto il privilegio di avere un responsabile illuminato quando ho iniziato la mia carriera: mi ha trasferito conoscenze, mi ha dato supporto nelle attività operative e non, spiegandomi da “come si scrive un’e-mail efficace” “alla gestione delle priorità e del tempo” e mi ha aiutata a prendere consapevolezza dei miei possibili sbocchi professionali. Lui mi ha insegnato un “mestiere” e mi ha aiutato a sviluppare ulteriormente la mia passione per l’HR. È stato anche un coach paziente che mi ha affiancato quando mi sono trovata in difficoltà e mi ha indirizzato verso le possibili soluzioni di un problema. Quando poi ho sperimentato a mia volta la gestione di giovani neolaureati, mi sono sempre preoccupata non solo di insegnare loro le attività, ma di essere anche allo stesso tempo il loro punto di riferimento. Ho sempre prediletto l’inclusione, coinvolgendoli in attività diverse, monitorando il loro sviluppo, tramite riunioni individuali settimanali di feedback dove fare il punto della situazione e capire se ci potessero essere eventuali problemi/difficoltà. E ho cercato di passare il messaggio di non aver paura dell’errore e che quando si sbaglia, bisogna concentrarsi sulle possibili soluzioni e non sull’errore in sé. Uno dei compiti più sfidanti con i manager di linea è far capire loro che hanno la responsabilità di formare le loro risorse e che spesso le risorse vedono il proprio responsabile come un modello a cui tendere.
Quali consigli ti senti di dare a chi sta pensando di iniziare una carriera nell’HR?
In maniera molto realistica, l’HR è un lavoro a tutto tondo, dove si possono imparare attività completamente diverse tra loro. L’ideale sarebbe una laurea in Organizzazione delle Risorse Umane seguita da un Master HR, sviluppando in parallelo una conoscenza fluente della lingua inglese e una buona padronanza di Ms Excel utile per la reportistica. Venendo alle competenze trasversali suggerirei di puntare sulla riservatezza, perché si viene a conoscenza di informazioni estremamente sensibili, la capacità di avere il giusto grado di coinvolgimento/distacco con i dipendenti con cui ci si interfaccia a seconda delle situazioni, la curiosità e una forte capacità critica. Fondamentale chiedersi il perché di quello che si sta facendo, ma soprattutto cercare di capire le conseguenze di eventuali azioni in una direzione piuttosto che un’altra.
Se potessi tornare indietro, sceglieresti ancora di lavorare in HR?
Assolutamente sì! È un lavoro dinamico, che richiede molta precisione, organizzazione ma anche flessibilità e capacità di interfacciarsi con interlocutori diversi tra loro per età, ruolo aziendale, nazionalità. È un lavoro impegnativo, perché si può essere chiamati a gestire situazioni spiacevoli per i dipendenti – seppur dettate da logiche aziendali -, ma allo stesso tempo anche molto gratificante. Pensate ad esempio quando si deve comunicare una promozione o un aumento di stipendio.
Per concludere parliamo di cose serie. Raccontaci un paio di episodi buffi che ti sono capitati durante le tue selezioni.
Durante un colloquio di gruppo, a metà dell’assessment un candidato mi chiede se è possibile ridurre i tempi della prova, perché di lì a poco avrebbe avuto un secondo colloquio, in un’azienda molto lontana e non voleva arrivare tardi. All’inizio pensavo scherzasse, ma rendendomi conto che era serio, gli ho chiesto gentilmente di abbandonare la prova in quanto non allineato.
Il secondo episodio è legato a un candidato neolaureato che si è presentato al colloquio con la fidanzata e che mi ha chiesto espressamente di fare il colloquio in sua presenza. Io gli ho risposto che non era possibile e lui ha insistito dicendo che loro erano una “coppia stabile” e che condividevano tutto. Umanamente mi ha fatto molta tenerezza, ma gli ho spiegato che non era possibile in alcun modo. Lui, visibilmente arrabbiato, è andato via con la fidanzata rinunciando di fatto al colloquio.
L’ultima domanda, lo giuro. Raccontaci un aneddoto particolare che ti è capito di vivere nella tua esperienza professionale.
Ero stata incaricata di ricercare un cuoco per la mensa aziendale. Dopo aver svolto i colloqui tradizionali, ho proposto di fare una sfida sulla falsa riga di “Masterchef”, dove i due candidati finali si scontravano in cucina.
I giudici erano l’amministratore delegato, alcuni manager e altri dipendenti che hanno assaggiato le loro pietanze, e votato il loro preferito.