

In questi giorni di lavoro remoto forzato da Coronavirus ecco due fenomeni interessanti. Generati dall’attivazione delle telecamere dei laptop nelle call.
Sullo sfondo. Le case dei colleghi. La nostra casa. Cucine, salotti, camere da letto, studi, mansarde. Figli all’improvviso, che irrompono nello smartworking dei genitori. Non siamo mai stati così fisicamente distanti, non siamo mai stati così intimamente vicini. La tecnologia delle stanze virtuali ci porta dove di persona non saremmo mai entrati: nelle stanze fisiche più personali e private dei nostri colleghi, dei nostri capi.
In primo piano. Le nostre facce. In abiti più casual. Senza sovrastrutture, perché in casa nostra non ne abbiamo bisogno: siamo noi, solo noi. Le discussioni si svolgono in modo diverso, senza inutili conflitti. Per far andare avanti le cose al meglio, con gli strumenti a disposizione, come facciamo a casa nostra.
Covid si spegnerà. L’emergenza finirà. Torneremo in ufficio.
Ricordiamoci di questi due effetti dello smart working.
Accogliamo i colleghi come si accolgono gli amici in casa propria e abbandoniamo le sovrastrutture per essere semplicemente noi. Le persone che vogliono far funzionare le cose, che vogliono crescere, che vogliono far crescere la propria azienda, che vogliono far progredire il proprio Paese.
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